sabato 2 gennaio 2010

Riflessioni sulla Celiachia Parte I

La celiachia (dal greco koilía, cavità, ventre), detta anche malattia celiaca o sprue celiaca (per "sprue" si identifica una malattia cronica caratterizzata da diarrea e anemia che porta alla cachessia), è un'intolleranza permanente alla gliadina. La gliadina è la componente alcool-solubile del glutine farro, un insieme di proteine contenute nel frumento, nell'orzo, nella segale, nell'avena, nel, nel kamut. Pertanto, tutti gli alimenti derivati dai suddetti cereali o contenenti glutine in seguito a contaminazione devono essere considerati tossici per i pazienti affetti da questa malattia.

(tratto da http://it.wikipedia.org/wiki/Celiachia)
...Premesso che essere arrivato a trent'anni strafogandosi di pasta, pane, pizza e birra non è stato facile: è stato un bell'impegno aver passato giorni e notti intere a smaltire lunghissime e pesanti digestioni e/o sbronze colossali...
...Premesso che la diagnosi sia capitata quasi per caso, quasi una forma asintomatica di celiachia, nonostante ci fossero i primi segni tangibili di un danno fisico (nulla di permanente intendiamoci, ma sempre danni sono)...
...E premesso che (nonostante la dolorosa astensione dalle birre VERE, e nonostante la fastidiosa constatazione che la totalità dei locali che frequento non solo non hanno un menù gluten free ma non possono tanto meno escludermi a priori una contaminazione crociata degli alimenti che sono naturalmente privi di glutine) abbia preso questa piaga della celiachia abbastanza positivamente...
Posso affermare che per un neo diagnosticato la cosa più importante sia quella mantenere una consapevolezza e una lucidità mentale adeguata alla situazione. E questo prima ancora di capire cosa gli sta succedendo e di prendere confidenza con una dieta senza glutine.
Lo shock più grande credo che sia la parola per tutta la vita. Come tutte le cose definitive, come un marchio a fuoco; come un'amputazione; come l'esperienza della morte di una persona cara; ma anche meno drammaticamente come un mutuo di 40 anni; come un matrimonio; come un'amore che finisce; come i bordi e i colori consumati di una vecchia fotografia, la prima sensazione è la paura della parola, di perdere la libertà di scelta, di essere costretti.
Chi è malato dalla nascita ha poca scelta e anche se è terribile non potersi considerare onnivori, tutto sommato è difficile soffrire la mancanza di quel che non si conosce. Per fortuna oggi la celiachia, nonostante sia ritenuta una malattia rara, è sempre più conosciuta anche da chi non conta nemmeno un malato nella propria schiera di conoscenze. Questo aspetto, oltre ad essere un indice tangibile dell'incremento delle diagnosi (e anche delle affezioni?), ha portato ad uno sviluppo esponenziale del business senza glutine che gravita attorno al fenomeno, portando qualità e quantità sul mercato e sulla tavola del celiaco.
Personalmente sono contrario al consumo massiccio di questi prodotti, perchè trovo che sia una forzatura. Ma partiamo dall'inizio. Innanzi tutto bisognerebbe sempre tener presente che dietro ogni reazione del nostro corpo c'è un motivo, e che non sempre la soluzione è imbottirsi di medicine o semplicemente aggirare il problema senza affrontarlo. Credo che la celiachia possa essere presa ad esempio come un urlo disperato dell'organismo a riconsiderare il proprio tenore di vita, in primis quello alimentare. Certo, la medicina moderna attribuisce una motivazione ben documentata per i casi di celiachia che sorgono in età infantile ma anche in quelle forme che danno i primi sintomi in età adulta, dando la colpa spesso e volentieri all'ereditarietà e alla genetica. Io personalmente mi domando perchè da un giorno all'altro sono diventato celiaco. Nella mia famiglia non ci sono precedenti.
I miei sospetti ricadono nettamente sugli usi, gli abusi e sull'impunità dell'industria alimentare, su quel che c'era a mia insaputa dentro i miei pasti dal 1980 ad oggi. E non sto parlando di eccessi, di bagordi, ma delle migliaia di pranzi e cene consumati in famiglia, in mensa, al ristorante. Evitando la dietrologia e specificando che sarò probabilmente un soggetto predisposto, rimangono i miei grossi dubbi su quel che mangiamo.
Detto questo, mi sento refrattario a questi prodotti che vogliono essere la copia di qualcos'altro.
Mi chiedo perchè devo mangiare la pasta fatta con la farina di riso quando posso mangiare il riso, perchè ho bisogno di mangiare il pane fatto con amido di mais e fecola di patate quando posso mangiare la polenta. Mi chiedo in definitiva perchè devo crearmi delle esigenze che sono sintomo di pigrizia (me li mettono sotto il naso al supermercato o negli avveneristici gluten free shop, perchè non prenderli??) e a mio giudizio un chiaro segnale di non riuscire ad accettare la propria situazione fino in fondo. Poi ognuno è libero di fare quel che vuole, ovviamente il mio primo pensiero di solidarietà va ai bambini: come fare a far capire ad un bambino che non può mangiare la pizza o anche più semplicemente il primo dolcetto che gli capita fra le mani se prima non si accerta che sia un prodotto "per lui"? A volte pesa a me sentire i miei che dicono "qui ci sono i tuoi dolci, il tuo pane", chissà ad un bambino che effetto fa. O a chi è gravemente allergico, che rischia ad ogni pasto. Per tutte le situazioni più gravi comprendo, ma il famigerato buono di esenzione assegnato dalla regione agli affetti da celiachia è un'arma a doppio taglio: non ho mai mangiato così tanti dolci, merendine, surrogati di pane, grissini, biscotti, torte, gelati da quando ho questa esenzione. E sinceramente me ne sono già stufato.
Quindi mi impegnerò nei prossimi mesi a mantenere una dieta adatta ai miei gusti e alla mia patologia, cercando di fare la spesa con la testa e non con la gola (che poi la maggior parte delle volte quei fantastici dolci ultra confezionati senza glutine sono amare sorprese...).

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